
L "CAMMINO DI SANTIAGO A GENOVA" TERZA PARTE
ARCICONFRATERNITA NOSTRA SIGNORA DELL'ASSUNTA DI PRA
La nostra terza tappa del pellegrinaggio urbano inizia dall'Oratorio di N.S.Assunta Pra Palmaro, dall'esterno si può vedere sopra la porta la lapide del 1657. Appena entrati si scendono pochi scalini e ci si trova nel corridoio dei ricordi. Qui sono poste in bella mostra le antiche fotografie, alcune di esse si trovano in queso sito. Sempre nel corridoi sono murate altre lapidi e alla fine di esso, in un locale protetto da vetri, è posta la "Madonna do cicioin" (vederere sezione Cassa Madonna).
Nella stessa stanza in cui è riposta la cassa è conservato un quadro, olio su tela, di scuola ligure, che ha come soggetto l'incoronazione della Vergine. Si entra poi nell'oratorio che è ad una sola navata, priva di cappelle laterali. L'ingresso si trova in una parete laterale. Questa particolarità favorisce l'utilizzo dell'aula sia per il culto sia per le adunanze.
A destra vi sono gli altari per le celebrazioni liturgiche, a sinistra vi sono gli stalli per il Consiglio dell'Arciconfraternita. Gli stalli in legno, intagliato a motivi floreali e vegetali, risalgono al periodo tra il 1725 e il 1749. Sopra agli stalli e tutt'intorno alle pareti vi sono decorazioni in rilievo con motivi floreali in stucco dipinto. In sette nicchie sono riposte statue in gesso di San Michele, San Rocco, San Isidoro agricoltore, San Pietro, San Bernardino, San Carlo Borromeo e San Sebastiano. Nel soffitto domina l'affresco del 1646 rappresentante la Madonna Assunta. Guardando in alto a sinistra si può notare un primo quadro, che ha come soggetto l'orazione di Cristo nell'Orto del Gethsemani. Troviamo un altro dipinto, che rappresenta San Sebastiano, San Rocco e San Cristoforo. Oltrepassato il mobile cn lo scranno del priore troviamo il quadro di San Giovanni Battista; vi è poi un secondo quadro di grandi dimensioni che raffigura l'entrata di Cristo a Gerusalemme. Dopo un mobile del XVII secolo troviamo la continuazione degli stalli con motivi decorativi geomentrici. Sopra la cassapanca con chienale del XVII secolo, troviamo il terzo grande quadro nel quale è rappresentato Cristo che incontra la Madonna sulla via del Calvario. A sinistra e a destra dell'altar maggiore troviamo due altari laterali risalenti all'anno 1750, costruiti un gesso e decorati con ornamento floreale e con raffigurazioni di Cherubini. Sopra l'altare di sinistra, vi è l'ancora, eseguita nello stesso periodo e contenete la croce più antica.
La cassa della confraternita dedicata a Nostra Signora Assunta risale al 1674, è stata popolarmente attribuita al Maragliano (1664/1739): è un'attribuzione erronea perchè in quell'anno lo scultore aveva soltanto dieci anni. La statua, che da secoli attira numerosissimi fedeli forse anche per la richezza del suo addobbo in oro, è un lavoro in legno con intagli e dipinti parzialmente dorati. La figura della Vergine è posata, contornata da angeli, sulla cosidetta macchina processionale costruita in legno intagliato e decorato. Ha lavorazioni in lamina di argento sbalzato e cesellato tra cui spiccano il grande raggio posto dietro la testa della Madonna e i mazzi di fiori di lamina dello stesso materiale. La cassa del peso circa di 600 Kg. era da secoli portata in processione da almeno 12 confratelli che si giovavano di stanghe di legno inserite sotto la struttura portante. La cassa della Madonna viene portata a spalle durante la salita della Scala Santa al santuario dell'Acquasanta mentre lo scoppio dei mortaletti e gli applausi dei fedeli rendono più emozionante la corsa dei portatori lungo la scala.
Lasciato l'oratorio passando attraveso piccole stradine e superata l'autostrada arriviamo all'Oratorio di S.Ambrogio
La Confraternita di Sant'Ambrogio :L’origine della Confraternita risale ai primi anni del 1300, sulla scia delle grandi processioni dei ‘flagellanti’ che percorrevano la nostra regione, invocando penitenza e pace.
Lo scopo originario della Confraternita è quello di ravvivare la fede nel popolo, con la partecipazione attiva dei confratelli alle Sacre Funzioni, di tenere viva la devozione alla Passione di Nostro Signore ed al Santo Crocifisso, di mantenere la pratica del Santo Rosario ed il suffragio per i defunti.
Poche e scarne tracce e documenti, purtroppo, rimangono a testimonianza di una vitalità e di una attività secolare.
Un accenno alla esistenza della Confraternita si trova nel titolo del registro della Confraternita dei Bianchi, dell’anno 1409, che suona così: "Commemorazione dei defunti dell’ordine dei disciplinanti dei SS. Nicolò ed Erasmo, Ambrogio e Antonio Abate". Le interpretazioni di tale titolo tuttavia non chiariscono se all’epoca esistevano già tre Oratori distinti, oppure se c’era un’unica Confraternita per tutta Voltri.
Molto probabilmente durante il 1400 la Confraternita si stacca dalla Chiesa e fonda il proprio Oratorio.
Nel 1594 la Confraternita commissiona allo scultore Santacroce la Cassa processionale di S.Ambrogio.
Nell’anno 1735 la Confraternita ottiene dal Papa Benedetto XIV l’indulgenza plenaria per i propri defunti.
Verso la fine del 1700 la Confraternita si dota dell’immagine del Crocifisso Bianco, che viene completato con canti argentei nella prima metà del 1800.
Nella seconda metà del 1800 la Confraternita si dota di Tabarrini provenienti dalla Casaccia Genovese di S.Giacomo alla Marina.
Nel 1945 l’Oratorio viene distrutto in un bombardamento, la sede della Confraternita viene riportata nella Chiesa parrocchiale, le Casse Processionali ed i Crocifissi vengono riparati nel Santuario dell’Acquasanta.
Nel 1959 iniziarono i lavori per la costruzione del nuovo Oratorio che venne consacrato nel 1961.
La Cassa di Sant'Ambrogio
a Cassa di S.Ambrogio, che fa parte del patrimonio culturale e della tradizione voltrese come "Cassa del Cavallino", è forse la più antica Cassa Processionale di questo genere tuttora rimasta in Liguria; essa venne commissionata nel 1594 dalla Confraternita di S.Ambrogio allo scultore Filippo Santacroce.
Alla fine del 1500 iniziò infatti il periodo di maggior splendore delle Casacce liguri e della produzione artistica ad esse connessa, che culminò nel 1700 con le opere di Anton Maria Maragliano.
La fu senz’altro uno dei primi esempi della nuova sensibilità artistica delle Casacce ed è particolarmente significativo il fatto che sia in buono stato di conservazione e che venga ancora portata in processione.
Questa Cassa rispecchia una leggenda nata nel secolo XIV sulla falsariga della tradizione di S.Giacomo Matamoros: nel 1338 S.Ambrogio salva Milano dalle soldatesche di Luigi di Baviera apparendo miracolosamente a cavallo armato di flagello.La cassa rappresenta S.Ambrogio a cavallo che sconfigge gli eretici simboleggiati da soldati romani. La scena è alquanto movimentata: tre soldati romani, con le spade sguainate, gli scudi e con le lance attaccano S.Ambrogio a cavallo. Il Santo, che indossa i paramenti sacri ed ha la mitria in capo, sta per vibrare il colpo alzando il braccio con la frusta; anche il cavallo imbizzarrito assale i soldati e sta per schiacciarne uno che gli si rannicchia sotto. Un soldato alza la spada a fermare lo slancio inarrestabile del santo, ma urla dal dolore al morso improvviso del cavallo. Solo due chierici, che portano la croce ed i pastorale del Vescovo, assistono impassibili alla scena, fiduciosi e sicuri della vittoria del Bene sul Male.Lo scrittore Alizeri ha ritrovato la documentazione completa: il contratto stipulato fra lo scultore Filippo Santacroce ed i Confratelli dell’Oratorio di S.Ambrogio di Voltri (atto Notaro Pellegro Pogliasca) nel 1594. Il Santacroce promette di "fabricare una cassa di otto palmi con Santo Ambrosio a cavallo di altessa di parmi cinque e mezo, con il chierico di altessa di parmi tre e mezo e angeli quattro, cioè uno per ogni lato della cassa con uno moro inginocchione", secondo una composi-zione che sembra ispirata a certe pitture del Tavarone.
Nell’atto notarile sono precisate le misure della cassa "di buono ligname bene e diligentemente fabricata e lavorata tuta greza", e tutti i personaggi della rappresentazione così come possiamo vederli ancora oggi. L’attuale cassa corrisponde nelle misure delle figure e nella composizione a quanto riportato nell’atto. Mancano i quattro angioletti angolari, scomparsi in seguito a successivi rimaneggiamenti, ed i chierici risultano due. La cassa è stata ridipinta ed il moro inginocchiato ha mutato colore.
L’accenno alla consegna dell’opera ‘grezza’ conferma l’uso di impiegare coloritori specializzati per la policromia delle sculture in legno, come fu consuetudine fino a tutto il secolo. XVIII. Non si conosce il coloritore di questa cassa, mentre i documenti citano il pittore Agostino Piaggio come autore della coloritura e dell’indoratura di un’altra cassa, purtroppo scomparsa, eseguita dal Santacroce sempre nel 1594: il "Martirio di S.Bartolomeo" per l’omonima casaccia genovese.
La Cassa processionale del Cavallino ha subito molte manipolazioni e non si presenta più nella sua veste originale. L’intervento più antico di cui resta traccia è, con ogni probabilità, settecentesco; ad esso risalgono sia i balaustrini reggicandele in legno dorato che circondano la piattaforma, sia la gualdrappa in velluto cremisi con ricami a ‘paillettes’ del cavallo, sia forse anche la decorazione a fiorami della mitria e delle vesti del santo. Anche il rifacimento in cartapesta di uno dei due chierici (solo la testa è in legno) forse eseguito in seguito ai danneggiamenti subiti dalla figura, è collocabile al secolo XVIII.
Impossibile stabilire quanti ‘restauri’ siano stati effettuati sull’opera, fino al più recente perpetrato subito dopo l’ultima guerra, che allo scopo di riparare i danni provocati dal bombardamento dell’Oratorio, ne ha purtroppo ricoperto l’intero gruppo scultoreo con una pesantissima ridipintura, alterandone ciò che rimaneva dei colori originali e ridisegnano duramente le fattezze dei personaggi ed i motivi decorativi delle vesti.
Il vecchio Oratorio di Sant'Ambrogio
Il vecchio Oratorio di S.Ambrogio sorgeva di fronte alla Chiesa Parrocchiale, all’inizio di via fra Simone da Carnoli, coll’ingresso verso oriente ed occupava l’area su cui ora sorge il caseggiato segnato col n. 19 di via Don Giovanni Verità e su parte del largo marciapiede che gli è dinanzi.
L’Oratorio era lungo 25 metri, largo 8 e alto 7,50. L’Oratorio era ad una navata ed era decorato di stucchi. Sull’unico altare aveva il gruppo statuario della Trinità, mentre in una nicchia laterale veniva conservata la Cassa di S.Ambrogio. Sulla sua facciata c’era un affresco di Carlo Nardelli rappresentante S.Ambrogio che vieta l’accesso al tempio all’imperatore Teodosio.
A quanto risalisse l’Oratorio non si sa, probabilmente alla fine del 1400. In quegli anni infatti molte Confraternite liguri si staccarono dalla Chiese e fondarono i propri Oratori. L’Oratorio era sicuramente presente nell’anno 1582. Di tale anno è infatti una relazione di Mons. Bosio, il quale si lamenta che, malgrado le disposizioni da lui date al momento della visita pastorale si continua a permettere alle donne di partecipare alle funzioni dell’Oratorio, e minaccia, che se ciò dovesse continuare si vedrebbe costretto ad interdire l’Oratorio stesso. Questa disposizione risulta incomprensibile per la nostra sensibilità del XX secolo!
Il 7 Giugno 1944, verso le ore 9 del mattino, Voltri venne sottoposta da parte degli Americani ad una massiccia operazione di bombardamento aereo a tappeto. Molte case crollarono, altre rimasero seriamente danneggiate. Molti morirono nelle strade, nei campi, nei fragili rifugi antiaerei o sotto le macerie. Fra i tanti edifici colpiti dalle bombe, o crollati in seguito a bombe esplose nelle vicinanze, ci fu il vecchio Oratorio di S.Ambrogio. Crollò in seguito all’esplosione di una bomba caduta sulla strada all’altezza della canonica che venne pure distrutta.
Nel bombardamento andò tutto distrutto, eccetto i preziosi tabarri dei Confratelli, qualche oggetto sacro e, fortunatamente, le Casse processionali ed i Crocifissi. Sull’area del vecchio Oratorio la parrocchia eresse, fra il 1957 ed il 1959 un caseggiato, col ricavato della cui vendita fu possibile riscattare un terreno di via Buffa, già requisito e poi utilizzato dal comune. Qui si costruì un altro grande caseggiato, vendendo il quale si poté costruire nei suoi fondi il nuovo Oratorio.
Il nuovo Oratorio di Sant'Ambrogio
L’Oratorio di S.Ambrogio sorge nei fondi di un grande palazzo di via Buffa ed ha il suo ingresso dai Giardini Giuseppe Piccardo.
La sua costruzione iniziò nel 1959 dall’impresa Melo (progettista il valente architetto Giorgio Gnudi e direttore l’ing. Giuseppe Carena) ed i lavori terminarono 3 anni dopo. L’Oratorio fu benedetto dal Cardinale Giuseppe Siri il 24 dicembre 1961.
Il nuovo Oratorio, lungo 24 metri e largo 17, pur mostrando una struttura tradizionale, ha una linea architetturalmente moderna. A tre navate, ha il coro separato dal Sancta Sanctorum da una leggerissima parete semicircolare di mattoni forati. L’altare maggiore senza gradini, abbellito da alcune tozze colonne ricoperte da lamiera di rame sbalzata a mano su cui sono riprodotte due scene: a destra l’Ultima Cena e a sinistra la Chiesa con gli Apostoli. Le lamiere sono opera della ditta Fassio di Savona.
La cupola, piccolissima, e chiusa da una vetrata colorata con la figura dell’Immacolata, e la vetrata di facciata sono opera della ditta Albertella di Genova. Bellissimo il pavimento alla veneziana progettato dall’architetto Gnudi ed eseguito dalla ditta Caviglia di Arenzano.
Il coro in legno dell’Oratorio è stato progettato dal Confratello Damonte e realizzato dalla falegnameria Sacco di Pra.
Nelle navate laterali sono conservati i "tesori" artistici dell’Oratorio: nella navata di sinistra si trova la Cassa processionale di S.Ambrogio e nella navata di destra la Cassa processionale della SS. Trinità.
Questa Cassa rappresenta Dio Padre ed il Figlio assisi su una colonna di nubi con il globo terrestre. Lo Spirito Santo è in forma di colomba con una raggiera ed alcuni angioletti completano la composizione. La cassa venne scolpita da Anton Maria Maragliano, verso l’anno 1735, per la Casaccia genovese di S.Ambrogio come gruppo di S.Ambrogio e la SS.Trinità.
Il gruppo venne in seguito smembrato e la figura di S.Ambrogio ed i putti che reggevano il pastorale e gli altri attributi del Santo purtroppo andarono dispersi. Con la soppressione ottocentesca della Casaccia genovese, non si sa come, la parte rimanente della Cassa finì nell’Oratorio di Voltri.
Nell’Oratorio sono pure custoditi tre Crocifissi processionali:
Il Crocifisso Bianco (detto "Vecchio"). La bellissima immagine di questo Crocifisso è settecentesca, sicuramente opera della grande scuola di scultura genovese . Ha infatti la stessa aggraziata ondulazione del corpo che si incurva dolcemente e la stessa composta serenità del viso del ben più celebre Crocifisso "Bianco" del Maragliano, costruito per la Confraternita di S.Giacomo alla Marina ed attualmente conservato ad Albisola. La croce è interamente ricoperta di scaglie di tartaruga, ed i "canti" argentei sono di fattura ottocentesca.
Il Crocifisso Nero (detto "Moretto"). L’immagine di questo Crocifisso è sicuramente di epoca settecentesca, anche se il colore nero ne rende difficile l’identificazione dei raffinati particolari. Il Crocifisso venne inaugurato nel 1937, con canti in stile barocco.
Il Crocifisso Bianco (detto "Grosso"). L’immagine di questo Crocifisso venne scolpita nel 1975 dai fratelli Moroder di Ortisei, ed i canti argentati furono disegnati dalla ditta Cesel Art di Campomorone. Un successivo restauro ed arricchimento ha reso questo Crocifisso veramente imponente.
Nella navata sinistra dell’Oratorio viene pure custodito un grande Gonfalone processionale, eseguito nel 1960, che riporta da una parte l’immagine di S.Ambrogio a Cavallo, ribordata in velluto rosso, e dall’altra parte l’immagine della Madonna Immacolata, ribordata in velluto azzurro.
Nella seconda metà dell’ottocento, quando vennero soppresse molte delle Casacce genovesi e venne disperso il loro patrimonio artistico, l’Oratorio di S.Ambrogio si è arricchito di due tabarrini, provenienti dalla Confraternita di S.Giacomo della Marina.
I tabarrini sono in velluto tagliato unito nero, molto consunto e rattoppato, ricamato interamente in oro con tralci vegetali ondeggianti e motivi palmiformi dai quali nascono mazzi di tre grandi fiori. Un alto gallone ricamato a motivi di foglie di quercia inframmezzate da mazzolini riborda il tabarrino e occupa l’intera altezza del colletto. I tabarrini recano un cartiglio sulle falde anteriori: la "spada" di S.Giacomo e le iniziali SDV che significano "Societatis Die Veneris" o Compagnia del Venerdì e permettono di identificarne la provenienza. Questi tabarrini sono infatti descritti nel poemetto di Martin Piaggio dedicato alla Casaccia genovese.
La Processione al Santuario dell'Acquasanta
La Confraternita di S.Ambrogio si è recata, probabilmente fino dalle sue origini, in processione al Santuario dell’Acquasanta; sicuramente è stata una della prime, insieme con le altre Confraternite vicine, ad inaugurare la grande stagione processionale all’Acquasanta del XVI e XVII secolo.
Il territorio dell’Acquasanta, nel passato, è sempre stato suddiviso tra varie Parrocchie, ma il Santuario è stato per lungo tempo parte della Parrocchia di S.Ambrogio di Voltri, pertanto la nostra Confraternita ha sempre avuto una venerazione particolare per la Madonna e la Processione verso il suo Santuario coinvolgeva, anticamente, tutta la popolazione voltrese.
La Processione tradizionalmente si teneva in occasione delle festa delle Natività di Maria il giorno 8 Settembre, che era un giorno festivo. Nell’anno 1923 tale festività venne abolita e la data della Processione venne spostata all’ultima domenica di Agosto. Tuttavia, ancora per lungo tempo, si continuò a celebrare con solenni Liturgie nell’Oratorio la festività della Netività di Maria. La Processione viene effettuata nella data originale negli anni in cui il giorno 8 Settembre cade di Domenica.
La Processione iniziava alle prime luci dell’alba, quando la Cassa di S.Ambrogio veniva portata dall’Oratorio alla "Piazza dello Scalo" (l’attuale piazza Lerda) dove si attendeva il rientro delle barche dalla pesca. I pescatori poi prendevano la Cassa e, con grande concorso di popolo, la Processione si avviava verso la Val Leira.
La processione giungeva in tarda mattinata al Santuario e culminava con la salita della Scala Santa a mezzogiorno. Per antico voto e per una tradizione particolare della nostra Confraternita i pescatori portavano la Cassa e salivano la Scala Santa scalzi. Grande era la partecipazione dei "pellegrini", cioè dei bambini e delle bambine che, vestiti con i costumi degli antichi pellegrini e con il bastone, cantavano le lodi di S.Ambrogio, della Confraternita e della Madonna.
La festa assumeva poi un carattere più profano, con le mangiate e le bevute sui prati. A metà pomeriggio le celebrazioni conclusive e la partenza per Voltri dove si giungeva in serata. La Processione prima di terminare si recava, spesso, nella Chiesa dei SS. Nicolò ed Erasmo per onorare S.Carlo, il Protettore di Voltri, e poi in Parrocchia. Un episodio, rimasto agli annali, di questa fase della Processione, si ebbe nel 189(?), quando per litigi nelle squadre dei portatori, probabilmente dovuti alle grandi bevute, la Cassa di S.Ambrogio finì nel fiume Leira.
Anche se attualmente i pescatori a Voltri non sono così numerosi come una volta ed i pescherecci sono rimasti quasi un ricordo, i "pescatori", nel loro costume tipico, tuttora continuano il pellegrinaggio ogni anno al Santuario dell’Acquasanta.
La festività del 400-esimo anniversario
La nostra Confraternita ha festeggiato nell’anno 1994 una ricorrenza particolare: il 400-esimo anniversario della Cassa Processionale di S.Ambrogio.
Per celebrare degnamente la ricorrenza del 4° Centenario la Confraternita ha organizzato dei festeggiamenti che si sono tenuti presso l’Oratorio di S.Ambrogio, in via Poerio a Voltri, Domenica 8 Maggio. La festività è stata preceduta da un triduo di preparazione concluso con un concerto della Corale di S.Erasmo. La celebrazione ha avuto il suo culmine nel pomeriggio con i S.Vespri e la Processione per le vie di Voltri.
La celebrazione della Cassa più antica ha idealmente voluto onore anche tutte le altre Casse processionali, pertanto tutte le Confraternite dell’estremo ponente genovese, hanno partecipato recando le loro insigni opere.
Continuando la nostra via penitenziale giungiamo all'Oratorio di S.Erasmo e Morte e Orazione di Voltri,dove un confratello stava lavorando per preparare il Sepolcro del Venerdì Santo
Lasciato lOratorio di S.Erasmo Morte e Orazione e raggiungiamo l'ultimo oratorio come da programma quello di S.Limbania,ora alcuni cenni sulla vira della Santa.
Mai santa fu così amata, almeno a Genova, perché se ne decapitasse il cadavere. Scarseggiando le reliquie, di Santa Limbania se ne fecero - pratica diffusa nel Medioevo - almeno un paio di pezzi. Alla venerata monaca cipriota, protettrice dei viaggiatori, dei carrettieri e dei mulattieri, è dedicato un percorso escursionistico da Voltri a Rocca Grimalda, antico feudo genovese oltre l' Appennino in cui la santa trovò altrettanta devozione. Il Cammino di Santa Limbania, che si dipana da oggi a domenica (organizzato e offerto dalle Province di Genova e Alessandria), dal mare ai monti, è passeggiata che si presta a molteplici letture: culturale, storica, enogastronomica, naturalistica e religiosa. Cipro, inizio del XIII secolo. Nel possedimento genovese la giovane Limbania, la cui vocazione religiosa è in conflitto con i progetti di matrimonio della famiglia, cerca di fuggire dall' isola. Il comandante di una nave genovese si dice disposto ad aiutarla, ma poi salpa lasciandola a terra: tuttavia qualcosa impedisce alla nave di prendere il largo. Il comandante torna indietro e, imbarcata Limbania, potrà ripartire senza problemi: miracolo. Il secondo si verifica all' arrivo a Genova: il capitano si dirige in porto, ma sempre qualcosa trascina la nave a Ponente, sulla spiaggia antistante la chiesa di San Tomaso (oggi via Buozzi-Dinegro). Nell' adiacente convento benedettino Limbania rimarrà sino alla morte.
dopo aver visitato il piccolo oratorio il terzo pellegrinaggio urbano si è concluso.
CHE COSA E' UNA CONFRATERNITA
Oggi è ormai da qualche tempo,tali organismi sono diventati oggetto di studio e di curiosità.La definizione ormai accettata non lascia adito a dubbi,infatti la confraternita è una unione di fedeli,eretta con decreto formale dall'autorità Ecclesiastica,organizzata gerarchicamente,che ha per scopo l' esercizio di opere di pietà di carità e l'accrescimento del culto pubblico e ha sede in una chiesa,oratorio o cappella. Intorno a questa formula di base si hanno una infinità di variazioni nella dedicazione,nella qualità dei confratelli e negli scopi caritativi.La parola confraternita deriva dalla voce latina frater-fratello-che ha dato origine a fraternitas,confraternitas,ed alle parole italiane: fraternità,confraternità,arciconfraternità,confratello e così via.Tralasciando fantasiose etimologie è evidente che fraternitas è voce latina e che confrate e confratello vengono dal latino come gli altri vocaboli ecclesiastici di compare e comare.Abbiamo anche il termine fraternità ,che indica la fratellanza,cioè il diritto di partecipazione ai beni spirituali di una associazione religiosa,sia essa monacale,clericale o laicale.LE CONFRATERNITE A GENOVA
La Casassa (Casaccia) è un’antica tradizione genovese e ligure legata a uno o più santi e a un ötöio (oratorio). Nata dalla rivalità tra le varie Confraternite, è diventata nel tempo simbolo di una sfarzosa procescion (processione). I casassanti (appassionati di Casasse) attendono con ansia a sciortia da Casassa (l’uscita della Casaccia). Per primo appare il confaon (gonfalone), poi a cascia do Santo (la cassa del Santo), antica e di pregevole fattura. Tutti i confræ (confratelli) hanno la cappa, mentre il priô (priore) e i responsabili della Casassa indossano una cappa a strascico detta pastorale. L’oggetto più atteso è il grande Cristo ligneo, gianco (bianco) oppure möo (moro, nero). L’incrocio dei bracci della croce si chiama croxêa, gli ornamenti ai lati e in alto (d’argento, a fiori, tintinnanti) si chiamano canti, l’iscrizione di Cristo si chiama titolo, la figura di Cristo si dice imàgine, il panno che copre il ventre di Cristo è detto manto. Il crocifisso, pesantissimo, è portato dal portòu da Cristo (portatore di Cristo) che usa, per scaricarne il peso sulle spalle, un’imbracatura di cuoio che termina con un bossolo, detto cròcco, dove si mette il pesin (piede della croce). Per proteggersi il corpo i portoei indossano una pansêa (panciera). Il portòu indossa il tabarin (mantellina) che varia a seconda della croce che porta. Per spostare la croce da un portòu all’altro si usa il martinente (impugnatura dietro la croce) e chi fa l’operazione è detto stramuòu (tramutatore). Infine chi brasezza (si sbraccia) tenendo con abilità in equilibrio la croce appoggiata a una spalla è detto brasezòu.
Detto genovese:escòu da canna, caciòu da vischio, portòu da Cristo, trei belinoin coscì no n’ò mai visto!
la cappa e il "tabarro" sono alcuni tra i segni e la manifestazione dell'appartenenza ad una Confraternita e della partecipazione alla sua azione.
L'abito esteriore deve essere segno dell'abito interiore, morale, dei Confratelli.
Il bianco le prime cappe furono di colore nero, solo dopo il 1399, quando discesero dalla Provenza i penitenti in processione per raggiungere Roma, attraversando Piemonte e Liguria, si diffuse il colore bianco , così furono e sono confezionate le cappe della maggior parte delle Confraternite, a cominciare dall'Arciconfraternita-Madre del Gonfalone, la cui struttura sarà poi adottata da tutte le altre Confraternite sorte in seguito.
N.B.: su questo abito sono quindi stati inseriti o aggiunti diversi altri elementi (es. classico: la mantellina). Spesso si é salvaguardato, però, almeno un richiamo al colore originario (ad es. si adottano cappe di colore diverso, le quali presentano tuttavia colletto, risvolti o fodera bianchi, per ricordare le origini); oppure, per contro, per non toccare del tutto l'originario abito bianco, su di esso sono inseriti solo dei piccoli, semplici annessi colorati (ad es. nastri o fregi);
il grigio ricorda la tela grezza, di simile colore, dell'umile saio dei primi Frati dell'Ordine Francescano: l'uso di una cappa simile indica le Confraternite (ed i legami tra esse e tale Ordine) sorte al seguito dei "Fratelli e Sorelle della Penitenza" nati dall'esperienza di San Francesco;
il rosso é il colore caratteristico della Confraternita della Trinità dei Pellegrini, fondata da San Filippo Neri, ed indica l'effusione dello Spirito Santo ed il fuoco della carità che deve infiammare il cuore di chi é iscritto a questa associazione nell'esercitarne lo scopo: la glorificazione della Trinità attraverso l'azione di liberazione del prossimo dalle emarginazioni e dalle schiavitù. Non poteva essere scelto colore migliore, visto che il rosso simboleggia la divinità;
il marrone ed il giallognolo richiamano rispettivamente la tonaca o il mantello dei religiosi dell'Ordine Carmelitano (i cui primi eremiti, e non solo essi, adottavano vesti di tinta affine, tessute con peli d'animale) e indica una Confraternita della Madonna del Carmine; ma questo colore (indipendentemente dall'Ordine religioso di aggregazione) potrebbe anche semplicemente indicare Confraternite nate dal Movimento Penitenziale medievale, i cui primi membri, come si é detto, vestivano rudi tuniche di tela di sacco;
l'azzurro é il colore mariano per eccellenza: é il colore del cielo, prefigura la Gloria Eterna (per cui simbolicamente indica la divinità) in cui é già stata assunta la Madonna. Esso fu assegnato alle Confraternite del Rosario dai Padri Domenicani, i quali ne zelarono l'erezione un po' ovunque, tanto che la fondazione di queste Confraternite, assieme a quelle consimili del Santissimo Sacramento, era auspicata in ogni Parrocchia; questo colore (usato sia per la cappa che per la mantellina) indica comunque una Confraternita mariana (o anche una Confraternita del Santissimo Sacramento legata ai Domenicani, mentre quelle legate alla Basilica del Laterano sulla cappa bianca portano invece la mantellina di colore rosso, e chi, ad es., ha una doppia aggregazione, potrebbe avere cappa azzurra e mantellina rossa);
il verde é innanzitutto il colore dell'Arciconfraternita di San Rocco e, di conseguenza, delle sue aggregate; esso riprende il colore delle vesti con cui questo santo pellegrino viene effigiato nell'iconografia tradizionale e invita alla speranza durante il pellegrinaggio terreno, prefigurazione di quello verso l'Eternità: il verde simboleggia la stagione della rifioritura, del ritorno della vita, e quindi l'umanità;
il nero, le prime cappe furono di colore nero, il colore simbolico della terra, da cui ha principio la vita, alla quale torna con la morte, é adottato, per questi motivi, dalle Confraternite della Buona Morte ("buona" nel senso cristiano del termine, sia innanzitutto dal punto di vista di una adeguata preparazione ed assistenza spirituale, che da quello del provvedere ai servizi necessari ai diversi atti e situazioni che accompagnano quest'ultimo momento della vita): in senso lato il nero é stato quindi inteso come indicatore di lutto, ma non é questo il suo significato originario o comunque principale;
Gian Paolo Vigo
....... Il servizio doveva essere prestato con la massima umiltà, nello spirito evangelico “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra” e per questo i confratelli indossavano tutti lo stesso abito che consisteva in un lungo saio o sacco generalmente bianco ed ebbe in un primo momento l’apertura sulle spalle per l’uso della frusta e un cappuccio che copriva totalmente il viso. Dalla cintura pendeva la frusta, ricordata adesso dal fiocco del cingolo.
Il cingolo con sette nodi era in memoria del Prezioso Sangue che Gesù perse nella Circoncisione, nell’Orto, nella Flagellazione alla colonna, nell’incoronazione di spine, nelle ferite delle mani, in quelle dei piedi, nell’apertura del costato.
L’abito doveva essere portato in processione, nell’accompagnare i fratelli defunti alla sepoltura, quando si faceva la Disciplina, nel ricevere l’Eucarestia, ed in fine con esso erano portati alla sepoltura i Confratelli. Tutte le volte che era portato l’abito doveva essere portata anche la Disciplina.
Ciò è molto interessante perché ci descrive come doveva essere vestito il semplice confratello, se per cappe di parata si intende il tabarrino questo era riservato solo ai portatori del crocifisso mentre gli altri avevano una tunica di tela grezza, se, invece, si intendono le cappe di velluto, ornate con ricami in oro, tipiche di quell’epoca, si capisce che la Disciplina si addiceva al solo abito penitenziale.
Le vesti processionali rappresentano senz’altro l’aspetto più originale e spettacolare del patrimonio tessile delle Confraternite genovesi. La veste completa consiste in una lunga cappa fornita di cintura e cappuccio a punta e di un corto mantello detto “tabarrino” che copre le spalle. Il tabarrino, una via di mezzo tra il mantello tipico dei cavalieri e il tabarro vero e proprio era un segno di distinzione per coloro che non potevano accedere alla nobiltà ma che comunque erano parte di un’associazione privilegiata. Le cappe originarie dei disciplinanti erano di tela grezza e sacco, lunghe fino ai piedi e con un largo foro sulla schiena per lasciar libera la pelle da flagellare durante la processione penitenziale. Un cappuccio triangolare (la “boffa”) con punta e due fori per gli occhi copriva la testa. Questo tipo di cappa, fatta con tela più fine, e senza il foro sulla schiena si conservò invariata lungo i secoli fino ai giorni nostri.
Sui tabarrini dei superiori normalmente è cucita l’impronta che consiste in una placca in lamina d’argento battuto sulla quale è effigiato uno dei santi protettori della Confraternita. Alcune di esse sono vere e proprie opere d’arte. Il colore della tela di sacco o marrone-grigio fu adottato dalle prime confraternite penitenziali e da quelle della Misericordia.
In quanto alle cappe di colore bisogna sapere che allora vi era la consuetudine di sfoggiarne di tantissime tinte.
La cappa rossa fu voluta da S. Filippo Neri (1515-1595) per la fondazione in Roma della confraternita della SS. Trinità dei Pellegrini che aveva come scopo la ricezione e l’aiuto ai pellegrini che confluivano a Roma per l’Anno Santo. E’ anche tipica d’alcune confraternite dedicate a santi martiri come Andrea apostolo o penitenti come S. Maria Maddalena, oltre che dei Cinturati agostiniani, delle compagnie della Dottrina Cristiana e di devozione gesuitica.
La Cappa azzurra fu assegnata dall’ordine Domenicano alle confraternite del Rosario su consiglio del card. Stefano Durazzo, arcivescovo di Genova (1635-1664). E’ legata anche al culto di S. Giacomo maggiore e S. Antonio abate.
La cappa nera è propria delle confraternite di Morte e Orazione, fondate a Roma nel 1538, il cui scopo è essenzialmente il suffragio. Indossano la cappa dello stesso colore le confraternite intitolate alla Madonna Addolorata, quella delle Anime del Purgatorio, del SS. Crocifisso e dello Spirito Santo oltre a quelle di devozione agostiniana e francescana.
La cappa cerulea è portata in devozione della Madonna sotto il titolo del Carmelo e deriva dal colore del saio dei Carmelitani (attualmente di color marrone), secondo la regola primitiva dettata nel 1209 da S. Alberto, Patriarca di Gerusalemme.
La cappa bianca con croce rosso-azzurra sul petto è quella dei Trinitari, ovvero di coloro che un tempo collaboravano, con l’ordine religioso omonimo, alla liberazione degli schiavi. Quella bianca, semplice, se è abbinata al tabarrino nero è caratteristica della devozione allo Spirito Santo, mentre con il tabarrino rosso alla devozione del SS. Crocifisso. Quella gialla è usata dai gruppi che si occupano di trasportare le casse e i gonfaloni o dalle confraternite delle Anime del Purgatorio (con tabarrini scuri). Luciano Venzano
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